13 Settembre 2013

“Quale garanzia migliore, allora, che raccontar noi stessi?” Intervista a Gustav Hofer e Luca Ragazzi

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Con Improvvisamente l’inverno scorso e Italy: Love it or Leave it hanno portato al genere del documentario una ventata di freschezza e ironia affrontando tematiche di forte impatto sociale e civico riprendendo in primis se stessi, protagonisti della storia di questo Paese, come tutti noi. Gustav Hofer è nato a Sarentino (Bolzano), dopo la laurea in Scienze della Comunicazione a Vienna e in Cinema a Londra, si trasferisce a Roma. Dal 2001 lavora per la tv franco-tedesca “Arte” in qualità di corrispondente per la cultura dall’Italia. Da gennaio 2005 conduce, sulla stessa emittente, il programma quotidiano di cultura “Journal de la Culture – Arte Kultur”. Luca Ragazzi, romano non d’adozione, si laurea in Lettere e Filosofia all’Università La Sapienza e da anni, esercita la professione di giornalista, critico cinematografico e fotografo. Coppia nella vita, come sul set, potremmo definirli registi del Cinema del reale.

I registi, a destra, Luca Ragazzi e, a sinistra, Gustavo Hofer

I registi, a destra, Luca Ragazzi e, a sinistra, Gustavo Hofer

– Entrambi siete giornalisti. Cosa spinge un critico cinematografico (Luca Ragazzi) e un conduttore televisivo culturale (Gustav Hofer) a intraprendere la strada della regia? E perché la regia del genere documentario?

Inizialmente è successo per caso. Con il nostro primo lavoro, dal titolo Improvvisamente l’Inverno Scorso, abbiamo pensato di filmare quello che stava succedendo nelle piazze del nostro paese. Era un reportage che via via è cresciuto fino a diventare un lungometraggio. Il successo insperato ha fatto di noi dei registi, nostro malgrado.

La locandina del loro primo lungometraggio "Improvvisamente l'Inverno Scorso"

La locandina del loro primo lungometraggio “Improvvisamente l’Inverno Scorso”

– Improvvisamente l’Inverno Scorso del 2008, come dicevi, autobiografico e da voi interpretato, fotografa la realtà di una coppia omosessuale che viene sconvolta dalla scelta del secondo governo Prodi, nel febbraio 2007, di proporre una legge sulle unioni di fatto. Scelta che genera aspri dibattiti nell’opinione pubblica e nei media. Perché proprio questa scelta di esporvi personalmente fotografando il vostro spaccato di realtà?

Abbiamo capito che il valore aggiunto di un documentario, rispetto al film di finzione è che le storie raccontate sono vere e non frutto della fantasia di sceneggiatori più o meno abili. Quando cominci a girare un documentario devi essere sicuro di avere accesso alla storia e che il tuo protagonista non cambi idea in corsa. Quale garanzia migliore, allora, che raccontar noi stessi? In seguito abbiamo capito che il pubblico ha apprezzato proprio il fatto che ci abbiamo “messo la faccia” e non ci siamo nascosti dietro pseudonimi, voci camuffate o pixelate come, aimé, troppo spesso si vede ancora quando si parla di omosessualità.

– Roma viene spesso definita una città omofoba. In effetti la cronaca, sovente, ci mette di fronte a vicende legate all’intolleranza verso gli omosessuali. Vivendo nella Capitale, come convivete con questo genere di situazioni? Credete ci sia seriamente maggiore intolleranza e chiusura mentale rispetto che in altre città?

Noi non abbiamo mai avuto la percezione che Roma sia omofoba, anzi, il contrario. Purtroppo, il fatto che qualcuno lo sia, fa sembrare, per sineddoche, che ad esserlo sia tutta la città. E’ vero anche che i media hanno una responsabilità enorme in questo senso e quando decidono che magari è il momento di parlare di una cosa, si può aver così la sensazione che non succeda altro: poi viene il momento di parlare solo di cani che azzannano i loro padroni, come se fossero impazziti tutti insieme. O come adesso che, finalmente, si parla di “femminicidio” e dobbiamo scoprire che ogni secondo, ogni giorno, una donna viene uccisa dal suo compagno. Era così anche prima, solo non faceva notizia…

La locandina di "Italy: Love it or Leave it"

La locandina di “Italy: Love it or Leave it”

– Ma facciamo un passo in avanti, affrontando un’altra questione sociale: in seguito ai numerosi riconoscimenti ottenuti da Improvvisamente l’Inverno Scorso, tra cui una menzione speciale al Festival Internazionale del Cinema di Berlino e il Nastro d’Argento 2009, nel 2011 avete girato Italy: Love it or Leave it. Ancora una volta, raccontando la vostra esperienza, in un periodo sociale in cui molti italiani, soprattutto i giovani, tendono a trasferirsi all’estero, cercando migliori opportunità lavorative e di studio. Il film sembra voler rendere giustizia agli italiani che restano, dimostrando che “un’Italia che resiste” c’è; l’Italia di coloro che, amando il proprio Paese, si impegnano, quotidianamente, per migliorarlo. Come “giudicate” la scelta di coloro che preferiscono lasciare il nostro paese?

Rispettiamo pienamente la scelta di chi decide di andare via, per poi magari un giorno ritornare, forte di un’esperienza di vita e di lavoro all’estero. Purtroppo i dati ci dicono che chi parte tende a non tornare. Girando il mondo con i nostri film abbiamo scoperto che all’estero l’Italia è molto amata e così ci siamo chiesti come mai, proprio noi che ci siamo dentro, non solo non riusciamo a vederne i lati positivi ma anzi vediamo solo quelli negativi. Diventa una sorta di mantra, di psicosi collettiva dal quale non se ne esce. Nel film volevamo dare un messaggio di speranza anche per rendere giustizia a tutti quanti coloro, tra gli italiani, non passano le giornate a lamentarsi e a parlar male di questo paese, ma si sono rimboccati le maniche per cambiarlo e ci stanno anche riuscendo.

– Oltre ad aver girato più di 200 Festival di Cinema di molte città del mondo, tra cui Milano, Zurigo, Rio, Cape Town, Helsinki, Singapore, San Francisco, avete portato in giro per l’Italia il documentario, ospitato da cinema d’essai, associazioni culturali e biblioteche. Quanto credete possa essere importante il lavoro svolto da queste piccole realtà territoriali nella promozione di una cultura differente rispetto a quella propinataci quotidianamente dai media?

Fortunatamente in questo paese c’è una società civile molto forte e capillare che opera a livello territoriale per far sì che non tutto vada perduto. La mancanza di uno Stato presente e soprattutto la mancanza da parte del cittadino della fiducia nello Stato, ha fatto in modo che in Italia si sia sviluppato un associazionismo, un corporativismo e un volontariato, che non ha eguali. Ed è stato soprattutto grazie al loro impegno che abbiamo potuto portare ogni sera, in una città diversa, i nostri lavori, creando sempre un dibattito e riempendo le sale.

Un'animazione di "Italy: Love it or Leave it"

Un’animazione di “Italy: Love it or Leave it”

– Perché, secondo voi, a volte però, le amministrazioni comunali non sostengono la cittadinanza attiva nella promozione di tutto ciò che appartiene al mondo della cultura?

Mi sembra evidente che la Cultura in questo paese non sia stata più nell’agenda politica di nessun governante, al di là dell’area politica. Negli ultimi anni poi, con la scusa della crisi, si è andato a tagliare proprio lì, dove già i fondi erano esigui. In Germania o in Francia non hanno tagliato neanche un euro alla cultura perché hanno capito che la classe dirigente del futuro si deve educare non solo a suon di partite di pallone e cattiva televisione.

– Dopo il successo di Italy: Love it or Leave it avete cominciato a lavorare al vostro prossimo progetto What is left (gioco di parole tra cosa significa sinistra e cosa è rimasto). Il titolo racconta molto. Storia recente. Di un partito (il Pd), del suo elettorato, della nascita di un nuovo avversario politico (Grillo) e della rinascita di uno vecchio (Berlusconi). Storia di una sinistra che non riesce ad essere sinistra gettando vecchie, ma soprattutto nuove generazioni in una confusione politica difficilmente trascurabile. Come mai la scelta di raccontare il momento storico-politico che stiamo vivendo?

Ancora una volta, anche in questo caso, abbiamo preferito partire dal personale e da quanto ci stava accadendo in quanto elettori di sinistra frustrati e delusi (ndr: che non per questo diventano di destra!). Ne è venuto fuori un documentario a tratti divertente, ma permeato di una certa malinconia. La sfida era parlare di una cosa assolutamente astratta e intellettuale come la politica in un modo che fosse cinematografico e entertaining. Speriamo di esserci riusciti.

Luca e Gustav davanti al DiCo, peccato fosse solo un discount

Luca e Gustav davanti al DiCo: peccato fosse solo un discount!

What is left è supportato dalla BLS Film Location di Bolzano. Come nasce questa collaborazione?

Ormai in Italia il cinema si fa grazie alle film commission. Dopo anni in cui si sono girati decine di film e fiction a Torino ed in Piemonte, adesso è la volta della Puglia e dell’Alto Adige, che è una regione ricca e piena di location incredibili. Gustav viene da lì e per questo gli è sembrato giusto rivolgersi a loro; oltretutto la scelta non era peregrina perché nel nostro documentario parliamo anche della sua formazione politica che ha avuto luogo proprio in Alto Adige. Siamo stati fortunati perché ci siamo avvalsi dell’aiuto di tecnici e operatori di altissimo livello.

– Avete ormai cominciato le riprese del documentario. Quando lo presenterete al pubblico?

Il film è già pronto, manca solo la scena finale. Stiamo aspettando di capire cosa succederà al governo, se cade o se regge. Speriamo di farlo uscire in Italia in autunno, magari a ridosso del congresso del Pd.

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