Luino | 18 Luglio 2021

“Uno sguardo nel bosco”: il camoscio alpino tra il Luinese, la Veddasca e la Valdumentina

Torna la rubrica di Riccardo Lattuada che oggi ci porta a scoprire tutte le caratteristiche e i segreti di uno degli animali più affascinanti del nostro territorio

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Il camoscio alpino è un mammifero artiodattilo erbivoro appartenente alla famiglia dei Bovidi. In Italia è diffuso sui pendii montani lungo tutto l’arco alpino, inoltre in Italia è presente un’altra specie del genere Rupicapra, il Camoscio appenninico (Ssp. Rupicapra pyrenaica ornata), endemico dell’Appennino centrale e considerato a sua volta, una sottospecie del Camoscio dei Pirenei.

Nella provincia di Varese è una presenza esclusiva del Luinese, in Val Veddasca e parte della Val Dumentina, con una popolazione presente a quote relativamente basse intorno anche ai 300 mslm, non usuali per questa specie, infatti, la camosciara della nostra provincia è una delle più basse di quota a livello italiano insieme a una popolazione presente nella provincia di Imperia dove i camosci arrivano quasi a livello del mare.

Contrariamente all’immagine tradizionale, il camoscio è abitante tipico della media montagna, che sta ora riconquistando dopo che in passato l’uomo aveva relegato questa specie a vivere a quote più elevate.

Occupa ambienti molto vari accomunati dalla ripidezza dei versanti e dalla presenza di roccia. Sono graditi tanto gli ambienti alpini (praterie alpine) come le zone fittamente boscate fino ad altezze di poche centinaia di metri sul livello del mare.

In primavera si osserva la discesa dei camosci verso i fondivalle, mentre in estate sono molto ricercati ambienti freschi come canaloni e versanti ombreggiati.

Il camoscio rientra in una categoria intermedia tra brucatori, come il capriolo, ed i pascolatori, come il muflone. Quindi, sfrutta al meglio anche le risorse meno appetibili come, ad esempio, licheni o aghi di pino.

Nel corso di una giornata tipo si osservano da 2 a 3 periodi di alimentazione, intervallati da lunghi periodi di ruminazione.

Nel periodo estivo l’attività di alimentazione si protrae anche nelle ore notturne. In inverno con un manto nevoso inferiore ai 50 centimetri oltre a nutrirsi di quanto emerge, scava con gli arti anteriori per accedere alla vegetazione sottostante. Nell’arco dell’anno le piante erbacee compongono circa la metà della dieta ma, in inverno, i consumi si orientano anche su infiorescenze di nocciolo, foglie e germogli di conifere, ramoscelli di ginepro e mirtillo, muschi e licheni. A differenza di cervo e capriolo, non sembra causare danni rilevanti sul rinnovamento forestale.

Il mantello del camoscio è essenzialmente costituito da due tipi di pelo, il pelo superficiale e lo strato sottostante, detto pelo lanoso o primo pelo, in grado di proteggerlo dalle difficili condizioni climatiche dell’ambiente in cui vive, soprattutto nel periodo invernale.

In inverno il pelo è lungo, morbido e folto, con una colorazione da bruno scuro a nerastro, le sole parti chiare sono la zona nasale, quella ventrale e lo specchio anale.

Molto sviluppata nel maschio, ma presente anche nella femmina, è la “barba dorsale”: una fascia di lunghi peli scuri che si sviluppa lungo la linea mediana e che risulta folta soprattutto a livello del garrese e della groppa, viene rizzata dall’animale quando si trova in situazione di pericolo o vuole affermare la propria dominanza nei confronti di un rivale.

La muta primaverile inizia a marzo e dura oltre tre mesi, caratterizzata da peli più corti e ruvidi, con tonalità che vanno dal giallastro pallido al grigio rossastro.

Nel camoscio lo zoccolo è dotato di un tallone morbido, che favorisce l’aderenza sulla roccia; di un bordo duro che permette lo spostamento su versanti ripidi. Possiede udito e olfatto molto ben sviluppati, che insieme alla vista sono i sensi principali utilizzati dalla specie.

Il dimorfismo sessuale non è così evidente, infatti entrambi i sessi presentano corna relativamente piccole e di un caratteristico colore nero ebano (o bruno scuro), permanenti, presentano una tipica forma ad uncino e possono raggiungere una lunghezza di 20-25 cm. Sono composte da due parti ben distinte: la cavicchia ossea e l’astuccio corneo. Le cavicchie ossee sono protuberanze in continuità con l’osso frontale e perpendicolari ad esso. L’astuccio corneo le circonda completamente ed è il corno propriamente detto.

La crescita annuale avviene a fasi alterne: durante la primavera (marzo-aprile), si ha la produzione di tessuto corneo, che si deposita alla base dell’astuccio mentre in inverno il processo si arresta, per effetto della variazione di luce e la carenza di nutrimento. Questo determina la formazione di solchi anulari, visibili sulla superficie esterna del rivestimento corneo, detti “anelli di crescita” (o “anelli di giunzione”), il cui conteggio permette una valutazione dell’età dell’animale.

Lo sviluppo delle corna non presenta sostanziale differenza tra i sessi; tuttavia, quelle del maschio presentano generalmente un diametro maggiore a livello della base, un’uncinatura più marcata e sono meno distanti tra loro nel punto di inserzione nel cranio.

Sulle corna dei camosci che abitano in zone boscate e ricche di conifere, specie se maschi, si trovano frequentemente tracce di resina, dovute all’attività di sfregamento contro alberi di conifere, praticata soprattutto durante il periodo riproduttivo. Il camoscio appenninico a differenza di quello alpino ha corna più lunghe.

Il camoscio viene descritto come un animale “gregario” e il comportamento sociale sembra essere legato alla esistenza di gerarchie all’interno dei gruppi. In realtà questa definizione risulta essere valida soprattutto per le femmine che vivono per la maggior parte dell’anno in gruppi di dimensioni mutevoli, oltre che dalle femmine, sono formati dai capretti e, talvolta, anche da qualche giovane maschio di 2-3 anni.

I maschi adulti invece tendono ad essere solitari. Il periodo riproduttivo inizia solitamente a fine ottobre per concludersi nella seconda metà di dicembre, il periodo delle nascite va quindi da maggio a giugno, generalmente la femmina partorisce un solo capretto, i parti gemellari sono del tutto eccezionali.

I camosci possono raggiungere in teoria i 25 anni di età, ma in realtà pochi superano i 15-16 anni, dai 10 anni inizia la fase di “vecchiaia”, il pelo perde il proprio colore diventando man mano sempre più grigiastro.

La principale causa mortale è durante il periodo invernale, comprensiva di morti accidentali e di morti per denutrizione, anche se nella popolazione residente nella nostra provincia di Varese le nevicate sono raramente così abbondanti da creare danni alla popolazione.

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